Cessi, et sublato montes genitore petivi

7 04 2021

Riporto un articolo tratto dal Foglio del 5 aprile 2021

Il mondo greco-latino, la sua eredità e il suo studio sono messi sotto accusa nei paesi occidentali. Per il nostro futuro, è cruciale difenderlo, scrive Le Figaro (21 marzo).

Lo studio dell’Antichità è nocivo. E’ quanto affermano oggi alcuni professori di storia antica, di latino e di greco in varie università americane. Un movimento partito da Stanford sta mettendo in discussione l’esistenza di queste discipline (gli ‘studi classici’) nei campus universitari, sostenendo che imporrebbero nell’istruzione un “suprematismo bianco di ispirazione neocoloniale” (come ha scritto Raphaël Doan sul Figaro Vox lo scorso 11 marzo). A tutto ciò, in Francia, si è aggiunto un dibattito sull’abbandono da parte dei musei nazionali dei numeri romani in alcuni cartelli espositivi, perché il pubblico non saprebbe più leggerli. Invece di imparare i numeri romani, cancelliamoli! Gli autori greci e latini, schiavisti e ostili ai barbari, erano dunque razzisti, conservatori, guerrieri, imperialisti e misogini? Non è totalmente falso, ma sono lungi dall’essere gli unici nella storia, e ciò non giustifica assolutamente la loro cancellazione senza uno sforzo di contestualizzazione e di analisi delle loro posizioni nel quadro della epoca in cui vissero, e non nel nostro. In Omero, Achille è un sanguinario, ma il poeta gli mette in bocca una riflessione toccante sul senso della vita. Anche Ettore trucida allegramente i suoi nemici, ma sembra più umano perché è una vittima. Se l’imperatore Augusto è un autocrate, Cicerone è morto per avergli rimproverato, quando ancora si chiamava soltanto Ottavio, la sua complicità con Antonio. Sant’Agostino non ha messo sotto accusa la schiavitù, ma ha contribuito alla nostra concezione di umanesimo moderno, e lo ha fatto in un’epoca in cui la ricchissima cristiana Melania la giovane affrancava in massa i suoi schiavi. Cancellare Atene e Roma dalla storia degli uomini, significa ostracizzare la Ragione (il logos greco) e mettere al bando la Legge (i Codici giuridici romani). Significa uccidere Platone e calpestare la nozione di equità, inventata da Roma. Per ora teniamo da parte la questione della fede (Gerusalemme), se è possibile farlo, cosa di cui dubitiamo. Ciò che ci sembra più importante è che la martellatura dell’Antichità, cancellata dalle memorie come l’effigie dei proscritti a Roma, sia un tragico embargo sulla memoria e un rifiuto della speranza, una negazione pura e semplice del futuro. L’adoperarsi con ogni mezzo per organizzare l’amnesia del passato elimina qualsiasi speranza per il domani. Virgilio racconta nell’“Eneide” il modo in cui Enea è fuggito da Troia in fiamme, portando il suo anziano padre sulle spalle. Disegnando questa immagine in alcuni versi magnifici, il poeta non parla solo di Enea, di Anchise, di Troia e di Roma, ma anche di noi, oggi. Ecco il verso più bello nel racconto dello stesso Enea, che riporta le condizioni della sua fuga: “Cessi, et sublato montes genitore petivi (Mi rassegnai e sollevato il padre mi diressi sui monti)”, (Eneide II, 804). C’è tutto in queste parole: il passato e la sconfitta (Troia abbandonata), il peso della tradizione (il genitore che la pietas filiale impone di salvare), il futuro che si intravede in lontananza, così difficile da descrivere (i monti all’orizzonte). André Gide, commentando questo verso straordinario, che chiude lo splendido canto II dell’“Eneide”, notava laconicamente, ma con giustezza: “Spettacolo dell’umanità”. Gli iconoclasti contemporanei dell’Antichità rifiutano di assistere allo spettacolo della nostra imperfetta umanità, sia per odio di sé, sia per volontà mortifera di autodistruzione o di convenienza politica, sia per paura. Si allontanano da loro stessi, si tradiscono e tradiscono l’umanesimo che – non ne sono nemmeno consapevoli – trascende la loro piccola persona così come l’umanità trascende il destino di Enea. Non lasciamoci andare al decadentismo ad ogni costo, mille ragioni ci trattengono dal farlo. Ma come si può non pensare a Cioran quando scriveva che una “civiltà marcescente scende a patti con il suo male?”. Una società malata, aggiungeva, “ama il virus che la consuma, non si rispetta più”. Essa non osa più affrontare la sua immagine autentica nello specchio della letteratura, bensì indietreggia dinanzi all’oscurità della sua anima come la storia la rivela. Dovrebbe invece farne il suo studio preferito, per capire meglio sé stessa ed esorcizzare i suoi peggiori demoni (…) Per lo storico, cancellare il passato equivale a un’epurazione; non serve a nulla cancellarlo, e conoscerlo meglio è un’ardente pratica di consapevolezza. (Traduzione di Mauro Zanon)






Ritrovare poesia

4 04 2021

Una casa di notte tra albero e cespuglio,

una finestra dal tenue bagliore

ed in una stanza impercettibile

se ne stava un flautista e modulava.

Era una popolare melodia,

benigna fluttuava nella notte

come fosse la patria ogni paese,

come fosse compiuto ogni cammino.

Nel suo respiro si faceva chiaro

tutto l’arcano senso della vita,

e di buon grado si affidava il cuore

ed ogni tempo era un presente.

[Hermann Hesse]

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4.4.21 Resurrection?





Non toccate Bonatti

20 03 2013

UnknownLunedi e Martedi sono andate in onda su Rai Uno le due puntate della Fiction “K2: La Montagna degli Italiani”. L’intenzione era ricostruire l’impresa che la squadra di Ardito Desio portò a termine nel ’54, secondo la versione, appurata e ufficializzata solo da pochi anni dal Cai, di Walter Bonatti. In breve, il giorno prima che Lacedelli e Compagnoni raggiungano la vetta, Walter Bonatti scende dall’ottavo (e penultimo) campo verso il settimo per recuperare le bombole d’ossigeno (necessarie alla salita in vetta): con questo carico sulle spalle, insieme ad Amir Mahdi, risale fino all’ottavo campo e di lì fino al luogo in cui Compagnoni e Lacedelli avrebbero dovuto allestire il nono e ultimo campo. I due però non allestiscono il campo dov’era stato previsto la sera prima di comune accordo con Bonatti, bensì circa 250 metri di dislivello più in alto. Bonatti e Mahdi riescono ad arrivare nei pressi del luogo concordato poco prima del tramonto, ma non vengono aiutati da Compagnoni e Lacedelli, che invece d’indicar loro la strada per la tenda si limitano a suggerire da lontano di lasciare l’ossigeno e tornare indietro; cosa impossibile, visto il buio che incombe e l’enorme sforzo che i due hanno già sostenuto. I due si ritrovano così a dover affrontare una notte all’addiaccio nella “zona della morte” con temperature stimate intorno ai -50 °C, senza tenda, sacco a pelo o altro mezzo per potersi riparare. Sopravvivono miracolosamente, mentre Compagnoni e Lacedelli, recuperate le bombole, salgono in vetta e conquistano per la prima volta il K2. Ma secondo la versione dei fatti di Desio, e quindi ufficiale, Bonatti avrebbe prima convinto Mahdi a seguirlo ventilandogli la possibilità di salire in vetta in maniera indipendente; poi avrebbe forzato la permanenza a 8.000 metri nella speranza di sostituire, il giorno seguente, uno dei due alpinisti designati alla salita nel tentativo alla vetta; ed infine, durante la notte avrebbe utilizzato l’ossigeno delle bombole per sostentarsi, intaccandone la scorta, e mettendo a repentaglio il tentativo di vetta stesso. Da quel momento Bonatti inizia a battersi affinché venga pubblicata tutta la verità su quella notte, anche perché la spedizione era stata finanziata con soldi pubblici e pertanto, secondo Bonatti, agli italiani andava fornita la verità sull’impresa. La verità di Bonatti verrà ufficializzata soltanto nel 2004, 50 anni dopo.

Torniamo alla fiction. Una delusione enorme. Per chi ama la montagna, per chi la frequenta, per chi ne conosce la storia.

La regia è improbabile, la sceneggiatura è imbarazzante, il cast è costruito malissimo (l’attore che interpreta il brianzolo Bonatti è siciliano) e le capacità attoriali e di doppiaggio sono ai limiti del ridicolo. Inoltre vengono aggiunti alla storia, tesa a rivelare al mondo una volta per tutte la verità su quella vicenda, elementi “di fantasia” (come specificato nei titoli di coda) assolutamente vergognosi! La moglie di Compagnoni arrabbiata perchè il marito alpinista se ne va per tre mesi, il giovane Bonatti che ama leggiadre donzelle nei fienili, un bambino pakistano che in un bazar ruba l’orologio a Puchoz (l’unico della spedizione che non torna a casa), lo stesso bambino pakistano che poi viene adottato da nientepocodimenoche Riccardo Cassin, la ragazza di Lacedelli che mentre lui è via si sposa con un altro, e poi ovviamente non manca il prete, perchè un po di sano cattolicesimo in una fiction Rai non può mai mancare…

Insomma il trionfo del cliche, del perbenismo, del radicalchic che imperversa nella cultura italiana. In montagna i valori sono altri: non c’è stato alcun tentativo per ricostruire una psicologia complessa e affascinante come quella dell’alpinista. E il soggetto era Bonatti! bastava leggere un suo libro per “capire”!

E vi assicuro che per rendere una storia “alpinistica” interessante e appetibile ad un pubblico poco avvezzo alle grandi altitudini non servono mezzucci tanto subdoli.

Basti pensare al film tedesco “Nord Wand”, che racconta la tragica morte di Toni Kurz nel tentativo di scalare la parte Nord del famigerato Eiger, con tanto di storia d’amore, questa volta trattata con delicatezza e intelligenza. Oppure “Nanga Parbat”, molto simile alla questione K2: anche la verità di Messner (sulla morte del fratello e sul raggiungimento stesso della cima) non era stata accettata per decenni! Un film impeccabile, senza fronzoli o invenzioni superflue: la vicenda è talmente coinvolgente e affascinante che è bastato raccontarla. Basandosi ovviamente e fedelmente sui libri e i resoconti del grande Reinhold.

Invece la Rai, con la scusa di rendere omaggio a Walter Bonatti, un uomo i cui valori e la cui essenza dovrebbero essere di ispirazione per tutti, hanno soltanto saputo usare la sua tragedia personale, una ferita che lo ha dilaniato per 50 anni, per costruirci sopra una favoletta da casalinghe, nè più nè meno come avrebbero reso Don Matteo o Un medico in Famiglia. Walter Bonatti merita rispetto, oppure il silenzio. Come in Montagna.





Balotelli per diventare Premier?

29 01 2013

UnknownCome ci ha abituato da ormai 2o anni, Silvio Berlusconi, in tempo di elezioni, regala ai propri tifosi un colpo di mercato col botto.

Ci fu Rui Costa nel 2001, che Silvio prelevò dalla Fiorentina pagando di tasca propria 40 milioni di euro, e Pippo Inzaghi comprato la stessa estate dalla Juventus. Nel 2002 Forza Italia cala, e per le amministrative il Presidente compra Rivaldo, rinforzando squadra e urne. Nel 2006 Berlusconi invece perde le elezioni…forse perché Shevchenko viene venduto al Chelsea?! Ma nel 2008 Silvio si rifà e acquista in pompa magna l’asso brasiliano Ronaldinho. E poi quella scena pietosa nel gennaio 2009, quando Kakà saluta i tifosi dalla finestra baciando la maglia rossonera: niente Manchester City, rimane a Milano, e le elezioni si avvicinano: l’errore del 2006 non viene ripetuto (ma il fantasista verde-oro passerà al Real Madrid pochi mesi dopo).

Siamo nel 2013. Elezioni in vista, a febbraio. Siamo in periodo campagna elettorale, le ultime settimane, cruciali. Ma è anche periodo di calcio mercato. Un caso? Forse. Un colpo di fortuna? da sfruttare assolutamente. Silvio coglie la palla al balzo, e compra per 20 milioni di euro, 40 miliardi delle vecchie lire, Mario Balotelli, l’estroverso attaccante 22enne del Manchester City e della Nazionale Italiana.

Mossa azzeccata: investire in un ragazzo di colore, ma nato in Italia, come tanti elettori che andranno alle urne. Spendere tanto quasi a voler scacciare la maledetta crisi, quasi a voler ripetere che “la crisi non esiste, i ristoranti sono pieni (e io compro Balotelli)”. E poi il Balo è un giovane ribelle, irrefrenabile e incontrollabile. Come ci ricorda un coro dei tifosi del City (“Ohhhhh Balotelli… he’s a striker, he’s good at darts, an allergy to grass but when he plays he’s fuckin class, drives round moss side with a wallet full of cash”) si fa notare per le sue qualità calcistiche ma non solo… E a tal proposito poche settimane fa Silvio aveva detto di Mario: “Mela marcia. Non lo accetterei mai al Milan”. Ma ora il passo indietro: ti dò un’altra possibilità. Ti perdono. Credo in te. Ti porterò alla redenzione. Grande Silvio!

Insomma l’acquisto del bomber azzurro (ma si vocifera anche di un imminente e clamoroso ritorno di Ricardo Kakà) è un messaggio dalle svariate sfaccettature e significati per l’elettorato milanista e non solo.

Però io dico. Saranno gli italiani, dopo 20 anni, ancora così “ciucci” da credere a questi mezzucci subdoli?

Il tifoso del Milan verrà ancora abbagliato dal prezioso regalo del Presidente? E con lui anche tutti gli altri che si sono in passato lasciati impressionare da queste operazioni faraoniche e completamente al di fuori dai canoni politici?

Spero di no. Spero questa volta in un elettorato maturo e cosciente.

Altrimenti poveri noi. Sarebbe più che meritato.

Votate bene. E forza Milan! 😉

 





Corona si costituisce a Lisbona

23 01 2013

Finisce la fuga del re dei paparazzi

ll fotografo dei vip era scappato da Milano: ha condanne per estorsione. La sua latitanza seguita sui social network. Fin dal primo momento, il Portogallo era stato considerato dagli inquirenti come possibile rifugio. Si è costituito in lacrime ad agenti portoghesi affiancati dagli investigatori italiani da alcuni giorni sulle sue tracce

Continua a leggere l’articolo di Repubblica

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Se a Siri chiedi dov’è scappato Corona ti dice “mi spiace non so dov’è”. aggiornamento ios in vista?

[Eyes on the Railroad]

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Paura & Delirio a Ramallah

22 01 2013

“THIS IS REAL” paura e delirio a ramallah –una storia quasi vera

 

birra. tantissima birra. era il mio compleanno e festeggiavo da solo, lontano migliaia di km da casa. birra. collezionavo bottiglie sul bancone. vuote. sulla prima ci avevo messo anche una candelina, incastrata nel collo. birra, quanta birra. ne finivo una, ne ordinavo un’altra, e nell’attesa fischiettavo nel contenitore vuoto. sempre la stessa  nota, cupa e sorda. nel bar pochi individui, anch’essi con una birra in mano, alcuni si passavano un narghilè. l’ambiente ne assorbiva l’odore dolciastro e il fumo intenso. ordinai l’ennesima birra. “this is the last one, we are closing” mi disse il barista dai baffi a sparviero e dalle erre pronunciate. brindai a me stesso, la tracannai d’un fiato e spensi la candelina. fuori l’oscurità mi avvolse. iniziai a camminare senza una direzione, perso in un dedalo di vicoli, tetri e silenziosi. vagavo mezzo ubriaco nel cuore della città vecchia, nel buio piú totale. nessun lampione in questa città, nessuna finestra illuminata. soltanto scheletri di palazzi mostruosi che invadevano le strade con arti di pietre e massi divelti, con occhi vuoti come abissi, e sagome di acciaio dalle forme più inquietanti che si allungavano gelide nel tentativo di metter fine alla mia passeggiata notturna. in giro neanche un’anima, ma d’altronde sa’yd mi aveva allertato: di notte nessuno e’ al sicuro tra le vie di ramallah. barcollando inciampavo nelle recenti macerie e nelle rovine passate, sprofondavo in crateri di terra esplosa, nelle impronte di antichi e pesanti giganti, e nei solchi dei più moderni e veloci cingolati. desolazione terrificante e squallore spettrale mi stavano per inghiottire. cercavo di correre via, ma come negli incubi di quando ero bambino, le mie ginocchia erano di gesso, addormentate e indipendenti, e mi costringevano in quella dimensione claustrofobica e delirante. la testa mi scoppiava. una corona di spine, souvenir del luogo, conficcata nelle mie tempie. ma peggio ancora, la mia vescica pulsava a 180 di metronomo. dovevo assolutamente pisciare. come per incanto innanzi a me si palesò un altissimo muro che si stagliava contro il cielo plumbeo. avanzai fino a poterlo toccare e mi ci lasciai cadere contro. la mia fronte calda e madida di sudore contro il cemento freddo, e gli occhi fissi sulla parete. li volsi di lato con un lento e impercettibile movimento della testa. prima a sinistra, poi a destra. e vidi una muraglia infinita che si snodava sulla brulla terra assecondando i pendii come un lungo serpente di cui non si riusciva a vedere nè capo nè coda. senza spostare di un millimetro la mia fronte, che mi reggeva in una posizione vagamente eretta, e soprattutto utile alla causa, lo cercai nei pantaloni e lo tirai fuori. chiusi gli occhi e mi abbandonai alla sensazione di sollievo provocata da quel sibilo familiare. ma ad un tratto una forza misteriosa mi spinse indietro, facendomi a) perdere l’equilibrio e di conseguenza b) bagnare scarpe, mutande e pantaloni. fui sopraffatto da nubi di polvere e calcinacci, e al di là del muro un rumore assordante di motori rombanti e ruspe urlanti, e fari impazziti nella notte profonda. caddi a terra. terrorizzato strisciai indietro. il mostro mi veniva incontro! il muro stava avanzando! e nella mia direzione! mi misi in piedi e cominciai a correre, improvvisamente lucido e risvegliato dall’oblio, senza voltarmi indietro, per paura di diventare una statua di sale. corsi per minuti che mi parvero ore, rituffandomi nei vicoli dell’antico borgo che adesso rappresentavano l’unica via di salvezza. inciampai su qualcosa, forse era un pallone sgonfio, e caddi. gli oggetti persero i loro contorni e come in un repentino diminuendo tutto intorno a me scomparve. mi risveglió dal brutto sogno la nenia rauca del muezzin, il sole era già alto. mi ritrovai steso su una pila di tappeti, al fresco, in un piccolo bazar. qualcuno mi doveva aver trovato svenuto per strada. cercai il benefattore dentro il negozio, e non trovando nessuno andai a vedere fuori. e cosí lo vidi. ancora più alto di come mi era sembrato la notte prima. e poi vidi le ruspe, e i lunghi colli gialli delle gru. andai contro il muro e vi appoggiai la fronte come avevo fatto qualche ora prima. guardai di nuovo a destra, e poi a sinistra. e questa volta vidi che il lungo e mostruoso serpente di cemento era spezzato in più punti e che le sue squame e tasselli venivano spostati da braccia meccaniche. il muro stava ancora avanzando, e famelico mangiava la terra che si trovava davanti. ne rimasi sconvolto. ritornai a guardare fisso davanti a me la parete gelida e disumana, per tornare nel sogno. ma qualcosa mi distrasse. misi a fuoco. piccoli segni, che qualcuno aveva scritto con un pennarello nero. apposta per me.

“this is real”.

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Katanga is back

20 01 2013

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Vattani prima

Vi ricordate di Mario Vattani?

Il fascio-rocker, noto negli ambienti neo fascisti con il soprannome Katanga, figlio di un importante diplomatico, e leader dei gruppi di musica “alternativa” di destra “Sottofasciasemplice” e “Intolleranza”, fino al 2012 era, per chi non lo ricordasse o non lo sapesse, il nostro Console generale a Osaka. Fino al 2012, quando, dopo un’esibizione organizzata un anno prima da CasaPound a Roma in cui il rocker interpretava pezzi inneggianti al fascismo, fu deferito dalla commissione disciplinare della Farnesina (con la seguente motivazione: “l’apologia del fascismo non è compatibile con il ruolo di servizio allo stato né con la tradizione della diplomazia italiana”) e rimosso dall’incarico.

Bene.

Ma la favola continua.

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Vattani dopo

Vattani infatti ha appena accettato la proposta di Francesco Storace, leader del movimento La Destra, di diventare il capolista di questo partito alle elezioni per il senato nel collegio del Lazio. Il Fasciorocker scarica quindi CasaPound e si allea con l’ex autista di Almirante, ex deputato e presidente della regione Lazio (per cui si sta ricandidanto), e alleato di Berlusconi. Dichiara l’ex console: “Lavoravo molto bene in Giappone. Non conosco altri diplomatici del mio livello che parlino così bene il giapponese”. Modesto. “Volevo occuparmi di arte e di musica”. Confortante.

“La richiesta di portarlo a palazzo Madama come capolista è stata sollecitata dalla segreteria regionale della Campania” ha spiegato Storace, che ha definito Vattani “un diplomatico coraggioso”.

Eh sì, ci vuole tanto, tantissimo, coraggio.

 





Lotta nel fango

20 01 2013

imagesAlessio De Giorgi, direttore di Gay.it, e collaboratore di Renzi durante le primarie sui temi dei diritti civili, rinuncia alla candidatura con la lista Monti. Sul suo sito comunica “la decisione sofferta di voler rinunciare alla candidatura al Senato nella lista unitaria ‘Con Monti per l’Italia’ in Toscana. Una decisione presa non senza molte difficoltà di coscienza, vista la denigratoria campagna mediatica portata avanti in questi giorni ai miei danni soprattutto da Libero e da altri giornali ed emittenti”.

Infatti appena la candidatura di De Giorgi è stata ufficializzata, la “macchina del fango” ha iniziato a far funzionare i suoi ben oliati meccanismi: Il Giornale e Libero (nb. quotidiani di proprietà della famiglia Berlusconi, avversario numero 1 di Mario Monti) hanno subito pubblicato articoli in cui il candidato al Senato compariva socio di alcune discoteche omosessuali e di un sito di incontri gay. Che a quanto ne so sono attività “ancora” lecite nel nostro Paese. In realtà Libero ci va ancora più pesante: “siti internet di escort gay e incontri hot, in uno dei quali i ragazzi si offrono a pagamento”. Invece il sito Dagospia pubblica articoli su articoli e diverse foto in cui De Giorgi viene ritratto con Drag Queens, il tutto condito con epiteti non proprio edificanti (“lesso”, “pornofrocio”)…

Conclusione: la macchina del fango vince ancora e De Giorgi rinuncia a candidarsi denunciando un trattamento “utilizzato per nessun altro candidato”, e di essere stato “vittima di un tritacarne vero e proprio, che ha cercato ed è riuscito a scandagliare in profondità ogni mia attività imprenditoriale, con una intensità inaudita e non applicata a nessun altro candidato della prossima competizione elettorale…Tutto questo con il disegno di mettere in difficoltà il senatore Monti e la sua lista, tentando di mettere in evidenza presunte contraddizioni, in base ad un non meglio specificato senso comune, sia all’interno della lista Scelta Civica sia all’interno della coalizione, attuata forse per coprire mediaticamente ben altre contraddizioni in liste vicine ai giornali che hanno portato avanti questa campagna”.

La guerra elettorale entra nel vivo, non c’è che dire! E secondo l’opinionista francese Philippe Ridet questo caso, esploso sulle pagine dei giornali di Berlusconi, saprebbe un po’ di ricatto. Siamo alle solite, lo criticate per la sua vita privata? (nb. Berlusconi è sotto processo a Milano per il caso Ruby, in parole povere per prostituzione minorile e concussione) …beh, attenzione! questo è quello a cui potreste andare incontro!

 





Fabrizio Corona latitante nella foresta di Sherwood?

19 01 2013

imagesLa Cassazione conferma le sentenze di primo e secondo grado contro il paparazzo. Aveva ricattato per 25mila euro David Trezueguet per non pubblicare foto che ritraevano lo juventino in compagnia di una donna. Ordine di arresto della procura di Torino. La Digos lo cerca… ma lui non si trova!

La condanna? cinque anni di reclusione. La motivazione? estorsione aggravata e trattamento illecito di dati personali. Conseguenza? L’arresto immediato, dato che Corona non può più usufruire di benefici per evitare il carcere avendo sulle spalle una pena complessiva superiore ai tre anni entro i quali si possono ottenere le misure alternative.

Ma Corona non si trova, è irreperibile, è un ricercato. Il suo sogno di emulare Robin Hood (in maniera molto personale) si è finalmente avverato: celebre la sua frase di qualche anno fa “Sono una sorta di Robin Hood: prendo ai ricchi per dare a me stesso”. Un eroe dei giorni nostri insomma! Si considerava uno che si “è tolto la vita”, rinunciando ad andare a giocare al pallone, al cinema, in discoteca, per pensare a costruire, a lavorare e a rimboccarsi le maniche. Insomma un vero esempio per i giovani. (“L’esempio che do io è quello di impegnarsi al lavoro perché io, a differenza di tanti giovani italiani che non sono figli di papà, anziché uscire tutta la vita e pensare a divertirmi, a venticinque anni ho smesso di vivere e ho lavorato venti ore al giorno per creare quella che era la mia società e il mio futuro”).

imagesQuindi l’arciere di Locksley si è dato alla macchia! In sue precedenti interviste aveva fornito versioni discordanti sulle sue reali intenzioni, un vecchio trucco per seminare lo Sceriffo di Nottingham… A Dagospia aveva detto: “Mi sento un leone in gabbia. Questa cosa non terminerà. Ho il pensiero di finire in carcere a lungo, cinque o sei anni. Paura? No, ho paura solo dell’anestesia totale perchè non ho il controllo della mia testa e del mio corpo. Non ho mai pensato alla via di fuga perchè il passaporto ce l’ho sequestrato. Se mi mettessero in carcere sarebbe scandaloso. Schettino è fuori, io devo andare dentro per 5 anni per delle foto…”.  Alla D’Urso invece: “Io sono convinto che la vita vada presa in modo positivo. Alla fine me la caverò, non farò il carcere, la mia vita si sistemerà.”

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Qualche indicazione per catturare il ricercato le forze dell’ordine ce l’hanno. Cosa farebbe l’eroe in calzamaglia in una situazione come questa?

little john

Potrebbe cercare l’aiuto di un Little John, di un collega…

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Oppure potrebbe aver bisogno del potere spirituale e amicale di un Fra Tuck…

Lele Tuck

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Oppure dell’amore incondizionato di una Lady Marion…

ma quale delle tre???

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Oppure cercare strane alleanze…

con lo Sceriffo di Nottingham? (per esempio il carabiniere Enrico Guastini, che per l’amicizia con Corona, che suscitò scandalo qualche tempo fa, fu spostato da Milano a Pavia)

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images-1oppure direttamente col (ex) Principe Giovanni in persona!!!

…e qui una traccia ci sarebbe! “Ogni tanto vedo Berlusconi. Ci siamo incontrati ed è una persona che stimo molto. Quando ci vediamo parliamo di lavoro, di politica, mai di donne, lui sa quali sono le persone giuste. Ora deve risolvere i problemi che ha nelle sue imprese, ma tornerà in politica da protagonista e vincerà. Quando lo sento parlare non mi stufo mai e anche se ha 70 anni ne ha passate troppe per stufarsi. Lui è un genio imprenditoriale, io sono un genio artistico. Ci prendiamo, poi siamo gli unici due che sono andati contro la magistratura”.





Io speriamo che me la cavo

17 01 2013

Dall’articolo “Italia Francia 5 a 1” di Tullio De Mauro, linguista italiano, comparso su Internazionale.

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UnknownI livelli di alfabetizzazione delle popolazioni sono stati a lungo stimati con i dati sulla scolarità incrociati, come fa l’Istat, con autocertificazioni (ma pochi dichiarano volentieri analfabeti se stessi o propri familiari). La dealfabetizzazione però colpisce anche adulti scolarizzati, come è apparso dalle indagini internazionali (2000, 2005) promosse da Statistics Canada.

L’Ocse ha così deciso di realizzare con cadenza triennale in tutti i paesi aderenti e associati il Programme for the international assessment of adult competencies (Piaac) e quest’anno si attendono i primi risultati. La Francia, vincendo una lunga riluttanza ad ammettere di ospitare analfabeti, si è mossa per suo conto in anticipo, creando un’agenzia ad hoc con poteri misti di rilevazione e intervento, e promuovendo indagini attraverso l’Institut national de la statistique et des études économiques, information et vie quotidienne.

I risultati dell’ultima indagine sono stati pubblicati a dicembre. Su testi di comunicazione quotidiana si verifica la totale incapacità di decifrare singole parole o cifre (alfabetizzazione strumentale elementare) per l’1 per cento di adulti nativi o immigrati tra i 16 e i 65 anni (in Italia per il 5 per cento dei nativi). Il 7 per cento non capisce o non sa scrivere una breve frase (in Italia il 33) e percentuali maggiori hanno difficoltà anche nella comprensione di testi orali (l’accertamento di ciò è una novità importante). Le discussioni sul da farsi saranno al centro della campagna elettorale italiana?